Malinconia, profonda, inesorabile, ma anche curiosità e quel tocco di complessità logica che lo caratterizza durante l’intera sessione di gioco. Ho voluto prendere tempo, ho voluto stimolare la mia fantasia, ho voluto vivere Ori and the Blind Forest godendo di ogni piccolo particolare. Il titolo ha tutto quel sapore di ciò che secondo molti è stato superato ma racchiude dentro di sé quanto di più bello da vedere ci possa essere e ci si possa aspettare da un titolo che non è Indie solo perché dietro c’è lo zampino dei finanziamenti Microsoft che lo hanno probabilmente reso più grande di quanto sarebbe potuto essere con un diverso scenario alle spalle, il tutto dopo ben 4 anni di sviluppo per approdare solo una manciata di giorni fa nello store di Xbox.
La realizzazione è firmata Moon Studios, un gruppo di menti connesse dalla stessa passione e dalla rete internet che gli ha permesso di sfornare quello che considero un piccolo capolavoro, probabilmente uno dei primi davvero degni di essere giocato in questa prima parte del 2015. La storia è quella che per prima avrà un importante impatto su di voi raccontandovi brevemente la vita di Ori, piccolo spirito appartenente al grande albero sacro che governa la foresta incantata di Nibel, che a causa di una folata di vento verrà staccato da quell’albero per finire tra le braccia di una delle creature che vivono la foresta e che darà la sua vita per il piccolo quando la foresta cadrà in una dolosa ed inesorabile carestia causata da quello che sarà il vostro nemico principale, Kuro. È a causa dello stesso che quel grande albero abbandonerà la vita terrena trasferendo le sue ultime energie nel piccolo Ori che continuerà così a sopravvivere e alimentare le ultime speranze di salvare quella foresta un tempo pacifica e incantata. Una storia bella, toccante, maledettamente triste e che non vi farà certo sorridere durante i primi minuti di storia del gioco (e piccole azioni da compiere per iniziare a prendere confidenza con il personaggio).
Lo scorrimento orizzontale volutamente utilizzato nel gioco è perfetto, con i coni d’ombra da scoprire, con i trabocchetti nascosti e quelle zone apparentemente non raggiungibili che lo diventeranno solo conquistando passo dopo passo le abilità di Ori. La luce è la vostra arma più potente, la speranza alimenterà il piccolo protagonista e lo faranno anche quelle poche creature rimaste vive nonostante quanto accaduto. Non preoccupatevi se esalerete “l’ultimo respiro” spesso e (poco) volentieri, imparate a creare il vostro checkpoint ogni volta che potete (dovete avere sufficiente energia), stati attenti ai nemici, anche quelli apparentemente più deboli perché celano spesso un ultimo attacco o una ripicca che potrebbe farvi del male.
I punti di forza del titolo sono costituiti proprio dalla ricchezza del dettaglio sia esso grafico o sonoro, dall’intuitività dei controlli e dalla bellezza di una storia che prende piede e spiega sempre di più con l’andare avanti della vostra sessione di gioco. È bello, senza nient’altro da aggiungere, senza se e senza ma, perché se è vero che l’unica pecca potrebbe consistere nel dimenticarsi di “fermare il tempo” e salvare un checkpoint di tanto in tanto (ce ne sono di stabili all’interno dei livelli ma non saranno così facilmente individuabili né tanto meno copiosi, posso assicurarvelo), è altrettanto vero che con il trascorrere del tempo (quello reale, stavolta) ci prenderete la mano e vi verrà semplice entrare nell’ottica arcade di questo titolo. Quella quantità di sensazioni che i creatori del gioco hanno pensato e inserito nel titolo arriva al giocatore finale e credo sia la cosa più importante (oltre agli alti standard da mantenere nel comparto tecnico e grafico, ovviamente).
Titoli come Rayman (e soci anche più storici) insegnano. Gli allievi, quelli bravi, imparano e raggiungono il loro obiettivo.
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