Non è fortunatamente il caso di Valerio Visintin e del suo articolo-intervista che trovate all’indirizzo mangiare.milano.corriere.it/2013/06/18/foodblogger-opere-e-omissioni e che mi ha riportato alla mente le infinite discussioni con conoscenti e amici riguardo questo mondo, quello di chi possiede un blog, contatti e visibilità nel web, delle agenzie che ti cercano così come le aziende a patto (non scritto e spesso neanche detto, sottinteso, per l’appunto) che tu sia il loro volto, le parole, la credibilità nel quartiere della città, nella discussione al bar tra amici, quella tra colleghi, nella vita insomma.
L’articolo fa riferimento al mondo del foodblogging, ha preso molto piede negli ultimi tempi creando una sempre più grande macchia d’olio che probabilmente come tale verrà pulita tra qualche tempo, un po’ com’è successo con il blog tradizionale, quello dove sto scrivendo io, che di anni sulle spalle ne ha tanti e che è stato genericamente dichiarato morto molto spesso, e un po’ è vero, se penso a quanti “colleghi” avevo in passato e quanti ne ritrovo oggi, quelli che non demordono e decidono di investire il proprio tempo libero in scrittura e pensieri liberi che come tali vengono affidati al web, nella speranza di incontrare quelli dei propri lettori fedeli o occasionali che siano, così da instaurare un rapporto, lanciare una discussione.
Ciò che più mi lascia perplesso (e che ho poi ritrovato nei commenti dell’articolo originale, ndr) è lo stupirsi o lo “scoprire solo adesso” quanto le aziende e le grandi agenzie siano disponibili a mandare prodotti da testare con la speranza (spesso la quasi certezza) di ottenere tutto ciò che si lega al nuovo modo di fare informazione: tweet, stati di Facebook, fotografie su Instagram, articoli sui blog o su Tumblr o chissà cos’altro, in unico pacchetto facilmente “acquistabile“. Lo stesso dicasi per aperitivi, serate, viaggi fuori porta e chi più ne ha, più ne metta, cose che i giornalisti della carta stampata (o televisivi) conoscono bene già da molto tempo. Dato che come ho già detto l’argomento non è affatto nuovo seppur da poco (relativamente) applicato al foodblogging (inutile dire che la stessa cosa viene applicata ad ogni campo trattato dalle voci del web), la vera onestà sta tutta nelle mani (nelle dita, se penso alla tastiera ed al mouse) di chi quelle fotografie, quegli articoli e quegli stati li scatta o li scrive.
Da sempre ho voluto personalmente mettere in chiaro una costante valida con qualsiasi agenzia e qualunque azienda: parlerò di un prodotto solo ed esclusivamente se lo ritengo opportuno e in ogni caso il mio giudizio sarà imparziale ed in grado di mettere in evidenza pregi e difetti, mai e poi mai permetterò a nessuno di acquistare l’articolo su misura perché ho lettori che si fidano di me, del mio nome, della mia firma. Il blogger o “influencer“, come va molto di moda etichettarlo ultimamente, dovrebbe avere bene fisso in testa che per guadagnarsi una piccola o grande platea di lettori serve tanto sudore, tempo, costanza e qualità di ciò che viene prodotto, è un crescendo che non finisce mai (se vado a leggere i post del 2007 ho roba di cui vergognarmi, mi piace pensare che questo calderoni dimostri una maturità guadagnata proprio nel tempo) ma che a perdere quella platea bastano pochi minuti e un articolo falso, costruito, facilmente smentibile da qualcuno che ha la forza di commentare e dire la sua, e non è certo cancellando il commento o moderando quelli che vengono al seguito che si risolve il problema.
Non facciamo di tutta l’erba un fascio, cerchiamo di premiare le persone vere che qui sul web possono davvero generare un valore aggiunto per le aziende, le stesse che possono così porsi meglio e rendersi più raggiungibili, più a portata di cliente, è il cliente infatti che fa la loro vera forza.
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