Questo è uno di quegli articoli che avrei dovuto terminare e pubblicare nel corso del 2016, sappiamo tutti com’è andata ed è sufficientemente evidente (senza troppa fatica) dato che lo stai leggendo adesso. Ci riprovo. L’argomento non mi riguarda nello specifico, ma è pur sempre vero che si parla di uno degli alimenti forse più apprezzati in tutto il mondo e di ciò che riguarda la più classica delle modalità di fruizione: la consegna a domicilio.
Io ci ho lavorato in una pizzeria d’asporto, ai tempi delle scuole superiori (quando gli anni erano giusti per cavalcare un due ruote 50cc e cercare di non fare troppo il pirla per le strade), probabilmente ci hai lavorato anche tu per pagarti il pacchetto di sigarette o qualche piccolo gadget (non è che la paga potesse permetterti di fare chissà cosa). Ancora i problemi me li ricordo piuttosto bene: ho chiamato ma la linea era occupata, hai fatto ritardo di un minuto e ventisette secondi, la pizza è poco pizza, lo scooter ha scooterato troppo e mi hai consegnato la bufala spostata di 20 gradi a destra, e chi più ne ha più ne metta.
Da PizzaBo a JustEat, ma non solo
Le cose nel frattempo sono molto cambiate, il servizio si è evoluto nonostante l’alimento sia rimasto tale (e meno male, non lo cambierei per nessuna facilitazione al mondo) e la tecnologia è corsa in soccorso di ogni cliente. Se il nonno preferisce sempre alzare la cornetta e contattare la pizzeria più vicina a casa (sopportando la linea occupata, il baccano di sottofondo e la mancata comprensione di chi solitamente prepara i cartoni della pizza e che in quel caso scriverà la metà degli ingredienti richiesti), il giovanotto con lo smartphone integrato in una mano preferisce l’applicazione, a qualcun altro basterà la via di mezzo, il sito web. Se da soli però non si va molto lontano, insieme si mette in piedi una forza, è su questa base che PizzaBo era cresciuto e aveva potuto abbandonare la splendida Bologna (soprattutto dopo l’acquisizione di Rocket), sappiamo poi tutti (forse) com’è andata a finire, e non è stata affatto una storia a lieto fine, non per chi quel progetto l’aveva messo in piedi (su StartupItalia trovi un’evoluzione dell’intera questione, tutta ben scritta).
La strada è stata tracciata, il destino è quello, e non credo si possa tornare indietro (a meno di voler rimanere una piccola e classica pizzeria di quartiere, non necessariamente una brutta cosa). Tutto diventa più freddo ma estremamente più preciso, ci si distacca da quel povero ragazzetto che deve smettere di preparare i cartoni, cercare le vie e accorpare le consegne più vicine, insieme a tutto il resto delle cose che c’è da fare (e qualcuno dovrà pur farle). Certo ogni tanto mancano ingredienti sul divino disco di pasta lievitata, ma è qualcosa che si sopporta (al massimo un paio di volte, ti avviso in entrambi i casi, dalla terza in poi cambio pizzeria), si saltano fasi seccanti (come quella del pagamento in contanti alla consegna, con scene al limite del ridicolo per resti mai sufficienti e mancanza di appoggi validi per terminare la transazione).
Poi arriva Domino, in Italia intendo, perché in America è presente da sempre, e se la gioca con Pizza Hut per il monopolio della pizza da fast food. Nasce la prima sede della Martinella e a seguire il sito web, attraverso il quale ordinare la pizza consegnata a domicilio, chiedere di pagare immediatamente e attendere il giusto tempo per affrontare le varie fasi di preparazione e consegna, in pratica è l’arma definitiva, quella messa bene in mostra e in attesa di brevetto, il Tracker:
Il non plus ultra dello stalking applicato all’alimento per eccellenza, un falco che guarda e pressa il pizzaiolo che riceve l’ordine e che dovrà gestirlo cercando di rispettare i termini, una garanzia che non perdona e che veleggia in bella vista sul cartone e sul sito web: una pizza che arriva a casa sempre calda (stampato sul cartone che la contiene) e addirittura una tempistica al limite di Transporter (hai presente il film? Quello in cui se non si spacca il minuto preciso si infrangono almeno 35 regole o giù di lì?), come riportato dai monitor all’interno della pizzeria (ogni tanto la si va anche a prendere direttamente) e che mostrano fieri quei 20 minuti circa dall’ordine alla consegna (oltre oceano questa tempistica ha un costo aggiuntivo).
L’evoluzione non perdona
In tutto questo, nonostante non ci siano garanzie scritte, si innesca un meccanismo al quale il cliente fa l’abitudine, e che alla lunga pretenderà, dandolo (in maniera errata, non lo metto in dubbio) come scontato. Spesso un servizio (un prodotto o un fornitore) viene scelto rispetto a un altro proprio per piccole differenze, come il tempo richiesto per ottenere il bene (e credo che in questo specifico ambito il tempo non sia un fattore così banale). Ciò non va assolutamente d’accordo con le promozioni che mettono sotto stress uno staff che però rimane sempre lo stesso (per numero di componenti) e che già affronta il normale carico di lavoro al quale è sottoposto quotidianamente. Ne è stato l’esempio proprio la Martinella (chiamo così la filiale Domino di quella via di Milano), che si è ritrovata un po’ tanto in ginocchio in quasi ogni “occasione particolare“, dagli Europei di calcio (2016) al periodo festivo di S.Ambrogio, a quello a cavallo tra vecchio e nuovo anno.
Lo ricordo ancora quell’ordine. Partito durante lo scorso ponte di S.Ambrogio (7-10 dicembre), mi aveva insospettito perché solitamente il tracker impiega molto poco a passare dalla fase 2 alla 3 (quando le pizze vanno in forno), cosa che non è successa. Nel commento sulla pagina Facebook c’è scritto tutto, l’ho pubblicato qualche tempo dopo l’accaduto, perché quella sera ho solo pensato a risolvere il problema, e quando la filiale non è riuscita a procedere per il mio rimborso (avevo pagato con carta di credito immediatamente, come sempre) ha scambiato l’ordine della mia consegna sacrificando quello di un altro cliente, una cosa che mi ha infastidito due volte, perché quel cliente (che non conosco) si è beccato ulteriore ritardo a causa mia, che però non c’entravo nulla. Sono arrivate le scuse (con molta calma) e anche il classico buono sconto su un ordine successivo, per farsi perdonare.
Da lì a una settimana ho fatto un nuovo ordine, io e Ilaria avevamo ospiti in casa, c’era la “CyberWeek“, tutto si stava ripresentando alla stessa maniera, ho chiamato a neanche 10 minuti di distanza dalla ricezione dell’ordine e indovina un po’, l’antifona era la stessa, c’erano troppi ordini. Mi è bastato dire che facevo parte della serie di errori della settimana precedente per far nuovamente scalare il mio ordine, portando così un ritardo di soli 20 minuti rispetto al previsto. Ovviamente, come per ogni cosa fatta di fretta, le pizze erano deludenti e una in particolare, nonostante una richiesta ben specifica per intolleranza ai latticini, è arrivata con la mozzarella a bordo (l’adesivo tipico di Domino attaccato al cartone della pizza riportava correttamente la mia richiesta dell’evitare i formaggi).
La gatta frettolosa …
Google conosce il resto del proverbio, nel caso in cui tu non lo conosca. Da qualche giorno è disponibile la nuova applicazione di Domino’s Pizza Italia, per iOS e Android, la quale però non condivide il database utenti con il sito web. Io, in maniera assolutamente stupida e sbadata, ho provato a entrare con la mia coppia di credenziali, ottenendo l’errore a video.
Vuoi che ti dica che sono stordito perché avevo davanti agli occhi la risposta? Si, lo sono, è come se lo sguardo avesse ignorato completamente quelle prime righe in cui si spiega molto chiaramente che occorrerà registrare un nuovo utente per poter collegarsi con l’applicazione, mi sono fatto prendere per i fondelli anche dallo staff della pagina Facebook, che solitamente impiega diverso tempo a rispondere, e che invece ha rimpinguato il team dedicato, che ora risponde molto rapidamente.
Perché tutto questo? Non ne ho idea, davvero, non ha alcun senso. Registri due volte la stessa identica casella di posta associata al tuo profilo Domino (la password è già diversa, tanto per dire), qualcuno provvede a verificare (in maniera automatica o manuale, chi lo sa) gli ordini arrivati da sito web e da applicazione per poter far risultare i giusti “punti” sul profilo.
Occorrerà inserire da zero i propri dettagli, l’indirizzo di consegna, la carta di credito da utilizzare per i pagamenti. Non c’è condivisione degli ordini precedenti, non c’è nulla di nulla, non c’è persino il dettaglio del citofono, così il fattorino è costretto a chiamarti sul cellulare (come accaduto sabato sera scorso), perdendo ulteriore tempo, il tutto condito da un primo periodo di blackout totale a causa dei troppi accessi da mobile, evidentemente sottovalutati.
In conclusione
Ho scritto e mi sono lamentato fin troppo, ma è chiaro che nulla (neanche la gentilezza dei fattorini, la bravura di un pizzaiolo o la bontà di una materia prima) può nulla (o quasi) contro un’arretratezza tecnologica o una serie di errori ai quali è difficile porre rimedio (a meno di non tornare indietro nel tempo).
Vola basso Domino (da non leggere con presunzione o voglia di polemica facile), sei davvero una valida alternativa a JustEat e alle pizzerie (e non solo quelle) che è in grado di raggruppare e proporre, puoi fare strada, ma devi stare al passo con i tempi (quelli di consegna previsti) e con le richieste dei tuoi clienti, non serve a nulla fare l’applicazione se poi quando la lanci sul mercato non è ancora completa. La aspettavamo da tanto tempo, è vero, ma prendersi un mese in più non vuol dire tradire la fiducia del mercato, vuol dire pubblicare qualcosa di fatto e finito, non beta (anche se non specificato), e già che ci sei sarebbe bello capire quanto carica è una tua filiale, così da evitare che possano accadere episodi come i due citati qualche riga più sopra, che poi è il problema che da sempre contraddistingue chi si associa a JustEat (zero regole realmente rispettate, indipendenza totale e ritardi all’ordine del giorno).
Ora torno nella gabbia, con permesso, e grazie a te se sei riuscito a leggere fino a qua il mio delirio colato :-)
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Milano Real Life (MRL)
È il nome di una raccolta di articoli pubblicati sul mio blog che raccontano la vita di un "perfetto nessuno" che ha deciso di spostare abitudini e quotidianità in una differente città rispetto a quella di origine.
Alla scoperta del caotico capoluogo lombardo mai tanto amato e odiato allo stesso tempo, per chi è nato qui e ancora oggi continua a viverci per volere o necessità, per le centinaia di persone che vengono da fuori e vedono Milano come una piacevole alternativa o una costrizione imposta dalla propria vita studentesca o lavorativa.
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