La tovaglia, spessa, di quel cotone intrecciato che oggi non se ne vedono più, a meno di scavare nei cassetti più vecchi e dimenticati.
Quel lampadario, strano e un po’ pomposo, faceva poca luce ma era bella, calda, più che sufficiente per noi, perché quella finestra che affacciava nella corte non lasciava passare poi cosi tanta luce solare.
L’odore delle polpette di melanzane e quelle di carne, fritte, erano quelle che ti venivano meglio in assoluto, le amavo alla follia, ne avrei potuto mangiare quantità imbarazzanti, e certamente non facevo la felicità di mamma quando le preferivo a qualsiasi altro piatto preparato per l’occasione. E sì che di piatti ce n’erano sempre tanti, perché guai a lasciare uno spazio vuoto in quei giorni, tutti dovevano alzarsi (ammesso di riuscirci) con pancia piena, sorriso e desiderio massimo di un Brioschi come ultima spiaggia per la salvezza eterna, in attesa della sfida successiva, tipicamente quella che ci aspettava per l’ultimo giorno dell’anno.
La spensieratezza, le risate, le bucce di mandarino (quello con i semi, perché le clementine neanche esistevano) utilizzate per giocare a tombola, i ceci secchi in alternativa. La frutta secca, la tovaglia piena che, quando si buttava tutto per terra, si doveva stare lì a pulire e darci giù con scopa e paletta per almeno dieci minuti. La palla fatta con i fogli di giornale vecchio e scotch marrone (tanto scotch, un vero spreco a pensarci bene oggi) che diventava motivo di urla, gioia, guai e qualche volta di infortuni che di solito vengono curati dai centri medici dei calciatori professionisti.
Non si pensava al rientro a scuola, eravamo piccoli, si pensava all’albero, alle musiche, agli zampognari che suonavano per le vie del centro storico, alle luminarie, ai presepi, ai dolci e ai regali di Babbo Natale. Alla spensieratezza, al calore della famiglia allargata, tutta, perché per quel frangente non esistevano i problemi del quotidiano.
Fino a quando nonno era in vita si stava tutti nel salotto buono. Ricordo i tuoi vestiti, il tuo sorriso misto al muso duro quando noi si faceva i monelli, mai reale del tutto, perché i nipoti potevano combinarne (quasi) di ogni. E poi ricordo la vestaglia di nonno, onnipresente, la metteva sempre su quella camicia che lasciava intravedere la cravatta, non mancava mai, così come il pantalone sempre perfetto e la pantofola, era un uomo elegante anche tra le mura di casa, quando non ce n’era alcun bisogno.
Non c’erano i caloriferi, non avevo mai visto un termosifone all’epoca, però conoscevo bene la stufa, quella e la bombola di gas che toccava trascinare su fino a casa, leggevo la fatica di papà sul suo volto anche se non realizzavo quanto potesse essere dura. Per stare caldi bastava un maglione, e continuare a giocare senza mai fermarsi, un duro lavoro che qualcuno doveva pur fare, e noi si era sempre in prima linea.
Oggi* è la vigilia di Natale, è un momento che fa parte di un periodo per tanti magico, ma la testa è una parte assai strana del corpo, viaggia su un canale differente e tutto suo sul quale, spesso, vengono messi in onda dei ricordi che fanno scendere una lacrima difficile da fermare. La nostalgia, lo so, è assai canaglia quando vuole, e sa come rovinare un bel momento, sa quanto peso possano avere quei ricordi, quegli odori e quei sapori registrati e collocati in un tempo ormai passato, lontano, impossibile da rimettere in scena.
È alla testa che faccio però appello, perché, nonostante il dolore, sarei disposto a dimenticare tanto, ma non questo, voglio riuscire a conservare questi ricordi e viverci dentro ogni volta che ne sentirò il bisogno.
Mi mancate, mi mancate da morire, sono passati ormai tanti anni da quando ci siamo detti addio, ma fa male, fa male ogni volta che ci penso, ogni volta che queste occasioni, che dovrebbero avvicinare la famiglia, non fanno altro che riportare alla mente quei ricordi e il desiderio, impossibile da realizzare, di vivere tutto quello che ricordo ancora una volta.
Lo dicevo forse un paio di giorni fa: non mi sento cresciuto, non mi sento davvero adulto, eppure devo esserlo perché, con mia moglie, abbiamo messo al mondo due splendide creature, e faccio di tutto affinché anche loro, un giorno, potranno vivere questa strana sensazione, a metà tra gioia e tristezza, ma alla quale, mi auguro, non vorranno mai rinunciare. I ricordi sono le cose più preziose che abbiamo, la nostra storia è ciò che ci forma e che ci fa crescere.
Ehi, nonni, sareste stati fieri e contenti di queste pesti in mezzo ai piedi, ne sono sicuro.
Tutto sommato, è anche (tanto) merito vostro.