O almeno ci provi. Sì perché alla fine, dopo più di un anno di pura resistenza e sana botta di culo (che non guasta mai), la Covid-19 è arrivata in famiglia colpendo me e Ilaria, evitando fortunatamente di rompere le scatole al pupo (e credo sia la cosa più importante), lasciando strascichi non esattamente gradevoli, quelli che prima o poi dovrebbero in qualche maniera sparire definitivamente e permettermi di tornare a sentire gli odori e i sapori. Sì, in questo momento per me tutto è inodore e ha il sapore del cartone, fermo restando che non sono così certo di conoscere il sapore del cartone, magari quando tutto questo sarà finito lo assaggerò per farmi un’idea.
Prenderla non è una colpa
Non bisogna vergognarsene ma occorre agire immediatamente.
A meno che la cosa non sia in qualche maniera volontaria, consapevolmente errata sin dalla nascita, dire di essere stati colpiti dal “nuovo” (ormai non più) SARS-CoV-2 non può e non deve costituire motivo di imbarazzo, di vergogna, di sconfitta come se fossimo gli ultimi arrivati di una maratona immaginaria dove le persone si aspettano che tu salga sul primo scalino del podio.
Ilaria è stata – con tutta probabilità – contagiata da una persona a sua volta vittima “consapevole” di adorabili nipotini mandati a casa per casi di Covid-19 in classe, presa forse troppo alla leggera da quei genitori che hanno probabilmente pensato quale vantaggio enorme potesse costituire mollare il carico ai nonni (perché presi in contropiede o perché hanno ritenuto che i pargoli stessero bene e che non potessero quindi fare danni, chi potrà mai saperlo con certezza …), quegli stessi nonni che farebbero qualsiasi cosa pur di godersi bei momenti di spensierata leggerezza con la gioventù della famiglia, persone però spesso fragili che andrebbero tutelate ogni oltre possibile immaginazione e paranoia, e invece.
Ho visto gli occhi della mia mamma e del mio papà trasformarsi nel momento in cui hanno abbandonato (si fa per dire) lo status di “genitori” per passare al livello successivo, quello dei “nonni“, è un’emozione forte, mi ha riempito di gioia, allo stesso momento ha però fatto nascere in me un ulteriore ragionamento più tendente al volerli proteggere perché non più appartenenti alla fascia d’età meno a rischio secondo i canoni dettati dal Governo e dalla Sanità. Questa cosa non va sottovalutata, non si rimane giovani per sempre e, soprattutto quando si ha a che fare con qualcosa di decisamente più prepotente, forte e grande di te, si può cadere in fallo molto più facilmente di quanto si possa pensare.
Con il senno di poi siamo tutti bravi e capaci di giudicare come se ci trovassimo esclusivamente dalla parte del giusto, non è certamente così. Tutti abbiamo colpe, anche chi (come me e Ilaria) ha sempre seguito pedissequamente le regole dettate dai decreti, dagli aggiornamenti, da chi è del mestiere e ci ha sempre pregato di fare attenzione dicendoci – soprattutto nel primo periodo, quello del 2020 – che c’era conoscenza scarsa e possibilità di fallire (nelle cure) altissima. È ormai passato più di un anno da quando è scoppiata la bomba, ancora oggi noto con estrema facilità persone che di quelle regole se ne fregano (e probabilmente se ne sono sempre fregate), fa male e ti fa capire quanto sbagliato possa essere l’affidarsi al buon senso comune, a quello spirito civico che ormai giace esanime sotto una caterva di macerie che non puoi spostare. La stanchezza (mentale) è tanta, la voglia di riabbracciare amici e parenti (non tutti eh, non prendiamoci tutta questa confidenza) è tantissima. L’aver deciso di liberare nuovamente le gabbie (come non ci fosse bastato quanto fatto e visto la scorsa estate) in favore di una ripresa economica che lascia però ampio spazio ai possibili aumenti di vittime mi lascia perplesso ma, inevitabilmente, grato per la possibilità di andare a trovare i parenti più cari (alcuni di loro vaccinati o guariti dalla Covid-19) rispettando ancora una volta quelle regole che sono state dettate e ampiamente messe in evidenza.
Cerca il lato positivo
Poteva andarci peggio, potevamo davvero rischiare di finire intubati o forse peggio, siamo stati fortunati e voglio vedere il bicchiere mezzo pieno, il pupo sta bene e il cuore è più leggero, sopporto (a fatica) la mancanza di odore e sapore (sono messo così ormai da più di un mese) ma nella vita c’è decisamente di peggio, spero solo di poter recuperare ambo i sensi entro un periodo ragionevole di tempo (ragionevole per me, egoisticamente parlando).
Siamo qui a parlarne quando in realtà alcune persone che ben conoscevamo non ci sono più, diventate numeri all’interno di quel ginepraio di statistiche che vengono quotidianamente snocciolate dai media, manco fossimo al mercato del pesce, con un senso non più di vuoto e sconforto che dovrebbe pervaderci, bensì una pressoché consolidata abitudine per qualcosa che ormai il nostro orecchio “ha imparato a conoscere“, che non ci tange come dovrebbe, che non ci fa capire come quel grido d’aiuto di tante famiglie distrutte possa e debba essere più importante del coprifuoco sul quale quel coso che respira (Salvini) continua a insistere come se fosse improvvisamente diventata la sua battaglia più importante.
I vaccini possono e devono essere la risposta a un’emergenza che dura davvero da troppo tempo, noi tutti abbiamo voglia e bisogno di tornare a riabbracciarci (questa la rubo a Conte), speriamo che la promessa accelerazione venga messa in atto sul serio e che tutti possano finalmente raggiungere un’immunità quanto mai meritata.
#StaySafe
Immagine di copertina: Nick Fewings
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